L'Aquila ferita
Un evento drammatico che richiede un tributo di vite umane e scatena dolore e sofferenza dovrebbe sempre suscitare lo stesso tipo di emozioni, sia esso accaduto a pochi chilometri da noi che dall'altra parte del luogo, ma non sempre è così, triste forse ammetterlo ma alcuni eventi ci colpiscono emotivamente più di altri, probabilmente spinti ad in inconscio cinismo da un martellamento mediatico che non distingue più la realtà dalla finzione.
La tragedia che ha colpito duramente l'Abruzzo e in special modo la città de L’Aquila suscita in me emozioni che vanno ben oltre la semplice presa di coscienza dell’accaduto e il rammarico quasi scontato che in questi casi si è portati ad esprimere, le immagini che vedo in televisione ed i racconti che sento non fanno parte del sintetico e ormai quasi cinico contesto che ogni giorno subisco tramite il video, stavolta è assolutamente diverso.
E’ diverso perché oltre ad avere una speciale attrattiva verso la bellissima a ed ancora sincera regione Abruzzo, e le splendide persone che la popolano, che più volte è stata meta dei mie viaggi ho ammirato (insieme ad altri grandi amici) non più di un mese fa il tesoro storico architettonico della cittadina oggi profondamente ferita e lacerata.
Ma non è solo la visione delle attrattive turistiche che ha provocato in me un profondo senso di angoscia e smarrimento sovrastato dal deprimente senso di impotenza che in questi eventi regna maligno, è stata invece la possibilità che la città mi ha offerto in quella serata dell’ 8 marzo di respirare la vitale atmosfera e parte della filosofia culturale che la anima osservando anche lo sciamare felice di una popolazione in festa grazie ad una Festa della Donna abbracciata da una atmosfera permeata da un deciso retrogusto primaverile nonostante le vette del Gran Sasso ancor abbondantemente ricoperte di neve.
E’ per questo che motivo che alle drammatiche immagini del disastro che passano continuamente in televisione si sovrappongono insidiose e dolorosamente acuminate quelle indelebili nella mia mente di una città felice e vitale all’interno della quale si muovevano persone adornate di volti sorridenti sotto un cielo colorato di un intenso tramonto velocemente sfumato nella notte illuminata da mille luci e sorvegliata da infiniti monumenti, indelebile testimonianza di quel profondo retaggio culturale e storico di queste terre che permette adesso ai feriti ma non sconfitti abitanti di affrontare il disastro con una dignità e forza di volontà che non fatico a definire uniche.
Difficile trovare una spiegazione diversa al senso di smarrimento che mi coglie ogni volta che osservo ciò che stento a riconoscere in ciò che avevo avidamente osservato e affidato amorevolmente alla mia memoria, al senso di dolore ogni volta che ripenso a ciò che mi ero ripromesso nell’osservare i monumenti in restauro in paziente attesa di tornare al loro primigenio splendore, tornare presto per godere ancora di più della tangibile aura che avvolge L’Aquila ed il suo Abruzzo.
Impossibile placare il dolore che sale dallo stomaco fino in gola quando sento pronunciare frasi che parlano di una città che sarà più come prima e che chissà se mai guarirà dalla profonde ferite che la natura ha indirettamente inferto per umana incuria probabile cupidigia, impossibile stemperare il senso di rabbia che mi assale.
Non serve a nulla perché nulla posso dato che nemmeno vivo in quelle terre e forse non ho nemmeno il diritto di dire ciò dato che probabilmente insignificante sarà il mio contributo alla potenziale rinascita, ma non voglio spegnere la speranza non voglio pensare che le ferite non si rimugineranno, io sono convinto che L’Aquila e tutte le terre martoriate guariranno e torneranno ad essere quello che erano, raggianti nel loro sincero splendore e forti delle radici culturali, perché sono convinto della estrema forza di volontà che anima la popolazione residente che non resterà inerme ad osservare la devastazione, per tornare in un prossimo futuro da ammaliare e stupire ancora un gruppo di amici che una sera di fine inverno si troveranno ad ammirare le bellezze della città e a respirarne piacevolmente l’aria densa di allegria e spontaneità.
Il possente rapace non si lascerà morire, tornerà di nuovo fiero e più bello di prima, silenzioso ed attento ad osservare il mondo ai piedi del solenne Gran Sasso